Data: 1999
Giornale: Fare Musica
Lingo – l’album precedente – risale a non più di un anno e mezzo fa, ma lo scenario è cambiato, come è puntualmente accaduto ad ogni nuova emissione discografica del gruppo napoletano.
di Claudio Mapelli
La novità principale questa volta è però di natura particolare, sembra assumere un senso più profondo e significativo. Il nuovo disco ci propone infatti un'immagine di Almamegretta molto somigliante - seppure arricchita dalle molteplici esperienze maturate in questi anni - a quella del gruppo delle origini, al folgorante esordio di Figli di Annibale.
Un disco, l'odierno 4/4, che - al di là della sua collocazione all'interno della vicenda ed evoluzione del gruppo napoletano -, considerato semplicemente come prodotto italiano di oggi, induce a considerare la nostra realtà musicale con una buona dose di fiducia. Un album che "suona" splendidamente ed emana l'energia positiva generata da un atteggiamento sereno nei confronti della vita, dei suoi giochi di luci ed ombre. Miscela equilibrata di fatalismo senza rassegnazione, fiducia non cieca nella possibilità di cambiamento, considerazione e rispetto per l'altro da sé, non disgiunta dalla consapevolezza della propria forza.
Ne abbiamo parlato con Raiz, Paolo e Gennaro T. - 3/4 dell'organico attuale nonché nucleo originario di Almamegretta.
Un disco che restituisce un'immagine di integrità del gruppo (d'altronde non c'era motivo di ipotizzare che si fosse perduta), una sensazione di compattezza del suo nucleo portante.
«Non a caso l'album è stato chiamato 4/4, proprio perché si voleva sottolineare questo discorso unitario, perché quattro quarti fanno uno, quattro persone che continuano a lavorare allo stesso progetto, nonostante il tempo e... le vessazioni… le intemperie...»
Senza per questo chiudersi alle influenze esterne, agli scambi di idee e di stimoli...
«Quella è una nostra prerogativa fin da quando abbiamo cominciato, rifarci a progetti che, partendo da un nucleo di persone, s'aprissero verso l'esterno; questo significa non solo lasciarsi influenzare da quello che ti succede intorno ma anche dalle persone che incontri e con le quali aprire un dialogo e fare un'esperienza comune. Una collaborazione non si esaurisce nel fatto di poter contare su una traccia registrata; questo succede sia quando viene qualcuno da noi che quando qualcuno di noi "va". Ci siamo sempre considerati una band (tra virgolette) aperta, anche se il nucleo centrale esiste, è forte e questo si sente chiaramente in tutti i nostri dischi.»
Questa forte entità di base (la banda) si traduce in questo caso in un suono p0tente ma fluido risultato di un'attitudine che solo certe registrazioni live sono in grado di rivelare...
«Il disco è nato sull'idea di registrare delle session in cui suonavamo insieme o non suonavamo insieme, ma, comunque, ci scambiavamo continuamente opinioni, idee... energie non lo voglio dire... È nato così ed è andato così fino alla fine: una enorme session immaginaria di cui poi abbiamo cercato di mettere a fuoco le idee, cercando però di mantenere il carattere di naturalezza, di "naturalità" del suono. Nel caso di Lingo lo sforzo era indirizzato ad ottenere un suono potente, massiccio; qui invece ci interessava di più tirar fuori un suono "concreto", qui le cose che succedevano erano... cose.
Tra gli appunti che ho preso durante l'ascolto leggo: "... musica suonata, come su un palco…”
«In effetti in questo disco c'è stato un uso della tecnologia se vogliamo ancora maggiore che in quelli precedenti, o meglio di tecnologia più avanzata; intendo dire che certe procedure prima erano usate da pochi, non erano ancora diffuse come adesso. Nella fattispecie tutto il disco è stato editato con Pro Tools; questo ci ha consentito di mantenere l'immediatezza e la spontaneità di quelle che sono state delle vere e proprie sessions e poi di dare un senso compiuto a questo materiale. La possibilità di andare inizialmente "a briglia sciolta" - senza preoccuparsi del risultato finale - e in seguito cogliere la sintesi con l'ausilio delle macchine.»
Disco suonato in scioltezza, col gusto di suonare...
«Se si legge così ci fa molto piacere, perché era proprio questo che cercavamo di ottenere.»
Ritmica che "tira da bestia", gran lavoro di tastiere e chitarre... L'impressione è che l'impiego dei campionamenti sia meno massiccio che in altre occasioni; quantomeno che i campionamenti pur presenti e molto efficaci - servano a corredare il frame fornito dagli strumenti "suonati", vero albero motore del disco.
«Diciamo che non sono i campionamenti a costituire la spina dorsale, ma le tracce suonate.»
«In un disco che magari può apparire estremamente vario, il filo conduttore è quello; le tracce sono molto differenti tra di loro - come in tutti i nostri dischi, d'altronde - ma è il modo in cui fai il disco, decidi di fare il disco che lo fa suonare in una certa maniera.»
Direi che è un disco "rock" (in una accezione molto mediterranea del termine). Nello spirito, naturalmente, piü che nella forma; nell'approccio, nella disponibilità a mettersi in discussione suonando insieme...
«Noi a tratti l'avevamo definito "progressive"...»
Io trovo che questa musica potrebbe essere tranquillamente suonata con esiti eccellenti in qualsiasi balera del globo e al termine balera annetto un senso altamente positivo -, per la sua forte matrice pop (nel senso di "popolare", non delle musichette insulse che spesso ci vengono propinate sotto questa etichetta) per quanto sagacemente attualizzata.
«Anche per noi la balera è un bel posto...»
Quattro quarti tutt'altro che... squadrati, fra l'altro, ma che fanno "saltare".
Ma al di là dei valori numerici e dell'evidente riferimento al tempo musicale della frazione che dà il titolo all'album, ci sono almeno altri due brani dedicati a riflessioni sul tempo che passa e su come viviamo questo suo scorrere...
«Questa è proprio un'ossessione per me, ma io credo che sia un'ossessione generazionale, il fatto di inseguire continuamente i propri giorni; ci hanno fatto tante promesse, ci hanno detto che saremmo diventati qualcosa nel futuro. "Vi dovete realizzare... nel frattempo divertitevi finché siete giovani, poi vi dovrete fermare perché avrete la vostra realizzazione...".
Siccome questa storia della "realizzazione" si è rivelata un sogno che è caduto con gli anni '80, si è frantumato - e non poteva essere altrimenti -, è come se tutte le persone che sono state abituate a pensare così si rifiutassero di "diventare grandi ", pensando che sia un fatto brutto. A parte che è inevitabile, poi che significa? Semplicemente avere degli anni in più, il che d'altronde significa anche avere più esperienza, che non è una cosa negativa. I vecchi sono rispettati, in tutti i posti dove non domina la civiltà occidentale... Invece la generazione di quelli che che vanno dai trenta ai quarant'anni rifiuta qualunque forma di maturità, si tende persino a non dire l'età. L'ossessione di essere "diventati vecchi" senza essersi realizzati, la conclusion "Sono un fallito!".
«È anche un fatto di incapacità di assumersi delle responsabiiità; diventare adulto per me non significa diventare "inquadrato", mettere su famiglia, cercare un posto fisso, etc. Questo è l'aspetto deleterio della presunta assunzione di responsabilità, perche poi molto spesso chi fa questa scelta alla fine di responsabilità se ne assume veramente poca, visto che si limita a seguire un percorso già disegnato per lui (quando ci riesce...).»
Come quando ti dicono: "L'amore, sì, è bello; ma poi tutto finisce, col matrimomo subentra l'abitudine...".
«Hai centrato proprio il discorso, perché l'argomento base di questo disco sono proprio le relazioni interpersonali. La gente vive le cose in modo strano: uno sta con una persona ma se gli chiedi se è la sua ragazza lo ammette a stento, perché non sa che posizione prendere. Si cornporta come se una storia dovesse durare cinque minuti e poi se la porta dietro per una vita... Invece sarebbe bello il contrario: una cosa che dura cinque minuti trattarla come se fosse per sempre, con quella intensità. Anche il terrore in preda al quale cadono molti quando la compagna gli comunica di essere incinta è stupefacente. E che sara mai? Ti hanno fatto anche a te, senza nascite tutto finirebbe... Nessuno di noi ha figli, al momento, ma non siamo contrari, capiterà; uno di noi una volta disse: "Fare un figlio significa anche rinunciare al proprio egoismo sfrenato..." e questa è una cosa bellissima, rivolgi la tua attenzione ad un'altra entità - anche se forse la percepisci semplicemente come un'estensione di te -, esci comunque da quell'introspezione me, my self and I...»
Come sempre i linguaggi si mescolano: napoletano, inglese, italiano - che stavolta assume una parte un po' più stabile -, persino uno strano francese...
«Finto, tra l'altro...»
Un lingo anche quello, in quel brano divertentissimo - una sorta di scatenata tarantella/funky - dal titolo Riboulez le Kick...
«Ci divertiamo a usare varie lingue; se l'attitudine rimane quella, certe cose si possono dire in qualunque modo.»
«L'idea è trattare il linguaggio come trattiamo il suono, con la stessa apertura…»
Questo pezzo è preceduto da un'altro che è imperniato su uno straordinario assolo di batteria; se non mi sbaglio ai tempi di Figli di Annibale - epoca a cui risale il nostro primo incontro - il batterista l'avevate soprannominato "Torchio"...
«È vero quasi non ce ne ricordavamo più neppure noi... Poi ci trovi a tutti e tre, nel senso che eravamo noi due a dargli questo soprannome...»
Beh, quindi assistiamo al ritomo di Torchio, nello splendore dello strumento suonato a tutto campo...
«Sì, ma, a parte la sua abilità e potenza percussiva, noi lo chiamavamo così anche per il ruolo che aveva assunto agli inizi del gruppo: eravamo "pischelli", ci davamo spesso alla fuga dalle prove - veramente in quel periodo ci davamo alla fuga da quasi tutto - e lui ci veniva a "prendere per le orecchie", ci telefonava: "Perché non siete venuti alle prove?"»
«Comunque, a parte gli scherzi, in questo progetto più che mai la batteria ha un ruolo centrale...»
Alcuni frasi del testo possono essere definite emblematiche: "Nun ce pensà, tira a campà/tutto chesto passa e se ne va..." - che sintetizza il discorso sul tempo di cui sopra - e "L'unica bandiera per cui combattere/è quella della gente in cui puoi credere...".
«Noi siamo avversi a tutte le bandiere e a tutto quello che significano: legami di nazione, di sangue, di razza... Intendiarnoci, mio fratello è mio fratello; ma a volte ti possono anche non piacere, i tuoi fratelli. Perché non li scegli, te li ritrovi come sono, magari tante volte ti piacciono perché ti assomigliano, ma per questioni genetiche. Possono esserci altre persone con cui ti senti più in contatto...»
«Mi vengono in mente i kibbutz israeliani della fondazione, anzi palestinesi, perché Israele non esisteva ancora. I bambini erano "figli del Kibbutz", se ne occupava chi se ne poteva occupare, una cosa meravigliosa; se fosse attuabile significherebbe la de-costruzione della famiglia mononucleare, che sta alla radice del nazionalismo e di tanti altri concetti negativi.»
Un sound di grande intensità, che copre tutte le frequenze dello spettro sonoro: da quelle gravi di basso, cassa e tappeti di tastiere alte più acute, coperte da certi "suonini" campionati e sapientemente "panpottati" e dai vocalizzi della cantante mongola siberiana Sahinko Namchilak. Oltre alla sua altre interessanti collaborazioni...
«Dre Love - che già aveva partecipato a Lingo -, Ash, un nostro amico che frequentava lo studio di Stefano (D.Rad, il quarto dei 4/4 di Almamegretta) qua a Roma; suona il basso e farà anche la tournée con noi. Poi Count Dubulah che ha suonato nel disco e nella tournée di Lingo e compare in alcune tracce di 4/4 alla chitarra e al basso... In due pezzi ha suonato Mauro Pagani... Il disco è stato registrato nello studio di Mauro che per noi è stato un.. papà, una persona eccezionale...»
«Noi siamo andati lì non a caso: uno studio modernissimo, che ti mette a disposizione Pro Tools ma anche una serie di strumenti d'epoca, amplificatori anni '70, tastiere analogiche, strumenti etnici... Abbiamo scelto proprio quel posto e ci siamo trovati benissimo, anche per merito di Mauro; figurati che lui, che già aveva problemi di budget con la BMG, di fronte alla necessità di una settimana in più di studio che avrebbe comportato sicuramente una serie di litigi e di problemi, avendo lo studio libero per una settimana - appunto - ce l'ha "donato"... In perfetto stile "progressive"! Ha detto: "Lo so che faccio un regalo alla BMG, ma fondamentalmente lo faccio a voi, quindi..."»
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005
Giornale: Fare Musica
Lingo – l’album precedente – risale a non più di un anno e mezzo fa, ma lo scenario è cambiato, come è puntualmente accaduto ad ogni nuova emissione discografica del gruppo napoletano.
di Claudio Mapelli
La novità principale questa volta è però di natura particolare, sembra assumere un senso più profondo e significativo. Il nuovo disco ci propone infatti un'immagine di Almamegretta molto somigliante - seppure arricchita dalle molteplici esperienze maturate in questi anni - a quella del gruppo delle origini, al folgorante esordio di Figli di Annibale.
Un disco, l'odierno 4/4, che - al di là della sua collocazione all'interno della vicenda ed evoluzione del gruppo napoletano -, considerato semplicemente come prodotto italiano di oggi, induce a considerare la nostra realtà musicale con una buona dose di fiducia. Un album che "suona" splendidamente ed emana l'energia positiva generata da un atteggiamento sereno nei confronti della vita, dei suoi giochi di luci ed ombre. Miscela equilibrata di fatalismo senza rassegnazione, fiducia non cieca nella possibilità di cambiamento, considerazione e rispetto per l'altro da sé, non disgiunta dalla consapevolezza della propria forza.
Ne abbiamo parlato con Raiz, Paolo e Gennaro T. - 3/4 dell'organico attuale nonché nucleo originario di Almamegretta.
Un disco che restituisce un'immagine di integrità del gruppo (d'altronde non c'era motivo di ipotizzare che si fosse perduta), una sensazione di compattezza del suo nucleo portante.
«Non a caso l'album è stato chiamato 4/4, proprio perché si voleva sottolineare questo discorso unitario, perché quattro quarti fanno uno, quattro persone che continuano a lavorare allo stesso progetto, nonostante il tempo e... le vessazioni… le intemperie...»
Senza per questo chiudersi alle influenze esterne, agli scambi di idee e di stimoli...
«Quella è una nostra prerogativa fin da quando abbiamo cominciato, rifarci a progetti che, partendo da un nucleo di persone, s'aprissero verso l'esterno; questo significa non solo lasciarsi influenzare da quello che ti succede intorno ma anche dalle persone che incontri e con le quali aprire un dialogo e fare un'esperienza comune. Una collaborazione non si esaurisce nel fatto di poter contare su una traccia registrata; questo succede sia quando viene qualcuno da noi che quando qualcuno di noi "va". Ci siamo sempre considerati una band (tra virgolette) aperta, anche se il nucleo centrale esiste, è forte e questo si sente chiaramente in tutti i nostri dischi.»
Questa forte entità di base (la banda) si traduce in questo caso in un suono p0tente ma fluido risultato di un'attitudine che solo certe registrazioni live sono in grado di rivelare...
«Il disco è nato sull'idea di registrare delle session in cui suonavamo insieme o non suonavamo insieme, ma, comunque, ci scambiavamo continuamente opinioni, idee... energie non lo voglio dire... È nato così ed è andato così fino alla fine: una enorme session immaginaria di cui poi abbiamo cercato di mettere a fuoco le idee, cercando però di mantenere il carattere di naturalezza, di "naturalità" del suono. Nel caso di Lingo lo sforzo era indirizzato ad ottenere un suono potente, massiccio; qui invece ci interessava di più tirar fuori un suono "concreto", qui le cose che succedevano erano... cose.
Tra gli appunti che ho preso durante l'ascolto leggo: "... musica suonata, come su un palco…”
«In effetti in questo disco c'è stato un uso della tecnologia se vogliamo ancora maggiore che in quelli precedenti, o meglio di tecnologia più avanzata; intendo dire che certe procedure prima erano usate da pochi, non erano ancora diffuse come adesso. Nella fattispecie tutto il disco è stato editato con Pro Tools; questo ci ha consentito di mantenere l'immediatezza e la spontaneità di quelle che sono state delle vere e proprie sessions e poi di dare un senso compiuto a questo materiale. La possibilità di andare inizialmente "a briglia sciolta" - senza preoccuparsi del risultato finale - e in seguito cogliere la sintesi con l'ausilio delle macchine.»
Disco suonato in scioltezza, col gusto di suonare...
«Se si legge così ci fa molto piacere, perché era proprio questo che cercavamo di ottenere.»
Ritmica che "tira da bestia", gran lavoro di tastiere e chitarre... L'impressione è che l'impiego dei campionamenti sia meno massiccio che in altre occasioni; quantomeno che i campionamenti pur presenti e molto efficaci - servano a corredare il frame fornito dagli strumenti "suonati", vero albero motore del disco.
«Diciamo che non sono i campionamenti a costituire la spina dorsale, ma le tracce suonate.»
«In un disco che magari può apparire estremamente vario, il filo conduttore è quello; le tracce sono molto differenti tra di loro - come in tutti i nostri dischi, d'altronde - ma è il modo in cui fai il disco, decidi di fare il disco che lo fa suonare in una certa maniera.»
Direi che è un disco "rock" (in una accezione molto mediterranea del termine). Nello spirito, naturalmente, piü che nella forma; nell'approccio, nella disponibilità a mettersi in discussione suonando insieme...
«Noi a tratti l'avevamo definito "progressive"...»
Io trovo che questa musica potrebbe essere tranquillamente suonata con esiti eccellenti in qualsiasi balera del globo e al termine balera annetto un senso altamente positivo -, per la sua forte matrice pop (nel senso di "popolare", non delle musichette insulse che spesso ci vengono propinate sotto questa etichetta) per quanto sagacemente attualizzata.
«Anche per noi la balera è un bel posto...»
Quattro quarti tutt'altro che... squadrati, fra l'altro, ma che fanno "saltare".
Ma al di là dei valori numerici e dell'evidente riferimento al tempo musicale della frazione che dà il titolo all'album, ci sono almeno altri due brani dedicati a riflessioni sul tempo che passa e su come viviamo questo suo scorrere...
«Questa è proprio un'ossessione per me, ma io credo che sia un'ossessione generazionale, il fatto di inseguire continuamente i propri giorni; ci hanno fatto tante promesse, ci hanno detto che saremmo diventati qualcosa nel futuro. "Vi dovete realizzare... nel frattempo divertitevi finché siete giovani, poi vi dovrete fermare perché avrete la vostra realizzazione...".
Siccome questa storia della "realizzazione" si è rivelata un sogno che è caduto con gli anni '80, si è frantumato - e non poteva essere altrimenti -, è come se tutte le persone che sono state abituate a pensare così si rifiutassero di "diventare grandi ", pensando che sia un fatto brutto. A parte che è inevitabile, poi che significa? Semplicemente avere degli anni in più, il che d'altronde significa anche avere più esperienza, che non è una cosa negativa. I vecchi sono rispettati, in tutti i posti dove non domina la civiltà occidentale... Invece la generazione di quelli che che vanno dai trenta ai quarant'anni rifiuta qualunque forma di maturità, si tende persino a non dire l'età. L'ossessione di essere "diventati vecchi" senza essersi realizzati, la conclusion "Sono un fallito!".
«È anche un fatto di incapacità di assumersi delle responsabiiità; diventare adulto per me non significa diventare "inquadrato", mettere su famiglia, cercare un posto fisso, etc. Questo è l'aspetto deleterio della presunta assunzione di responsabilità, perche poi molto spesso chi fa questa scelta alla fine di responsabilità se ne assume veramente poca, visto che si limita a seguire un percorso già disegnato per lui (quando ci riesce...).»
Come quando ti dicono: "L'amore, sì, è bello; ma poi tutto finisce, col matrimomo subentra l'abitudine...".
«Hai centrato proprio il discorso, perché l'argomento base di questo disco sono proprio le relazioni interpersonali. La gente vive le cose in modo strano: uno sta con una persona ma se gli chiedi se è la sua ragazza lo ammette a stento, perché non sa che posizione prendere. Si cornporta come se una storia dovesse durare cinque minuti e poi se la porta dietro per una vita... Invece sarebbe bello il contrario: una cosa che dura cinque minuti trattarla come se fosse per sempre, con quella intensità. Anche il terrore in preda al quale cadono molti quando la compagna gli comunica di essere incinta è stupefacente. E che sara mai? Ti hanno fatto anche a te, senza nascite tutto finirebbe... Nessuno di noi ha figli, al momento, ma non siamo contrari, capiterà; uno di noi una volta disse: "Fare un figlio significa anche rinunciare al proprio egoismo sfrenato..." e questa è una cosa bellissima, rivolgi la tua attenzione ad un'altra entità - anche se forse la percepisci semplicemente come un'estensione di te -, esci comunque da quell'introspezione me, my self and I...»
Come sempre i linguaggi si mescolano: napoletano, inglese, italiano - che stavolta assume una parte un po' più stabile -, persino uno strano francese...
«Finto, tra l'altro...»
Un lingo anche quello, in quel brano divertentissimo - una sorta di scatenata tarantella/funky - dal titolo Riboulez le Kick...
«Ci divertiamo a usare varie lingue; se l'attitudine rimane quella, certe cose si possono dire in qualunque modo.»
«L'idea è trattare il linguaggio come trattiamo il suono, con la stessa apertura…»
Questo pezzo è preceduto da un'altro che è imperniato su uno straordinario assolo di batteria; se non mi sbaglio ai tempi di Figli di Annibale - epoca a cui risale il nostro primo incontro - il batterista l'avevate soprannominato "Torchio"...
«È vero quasi non ce ne ricordavamo più neppure noi... Poi ci trovi a tutti e tre, nel senso che eravamo noi due a dargli questo soprannome...»
Beh, quindi assistiamo al ritomo di Torchio, nello splendore dello strumento suonato a tutto campo...
«Sì, ma, a parte la sua abilità e potenza percussiva, noi lo chiamavamo così anche per il ruolo che aveva assunto agli inizi del gruppo: eravamo "pischelli", ci davamo spesso alla fuga dalle prove - veramente in quel periodo ci davamo alla fuga da quasi tutto - e lui ci veniva a "prendere per le orecchie", ci telefonava: "Perché non siete venuti alle prove?"»
«Comunque, a parte gli scherzi, in questo progetto più che mai la batteria ha un ruolo centrale...»
Alcuni frasi del testo possono essere definite emblematiche: "Nun ce pensà, tira a campà/tutto chesto passa e se ne va..." - che sintetizza il discorso sul tempo di cui sopra - e "L'unica bandiera per cui combattere/è quella della gente in cui puoi credere...".
«Noi siamo avversi a tutte le bandiere e a tutto quello che significano: legami di nazione, di sangue, di razza... Intendiarnoci, mio fratello è mio fratello; ma a volte ti possono anche non piacere, i tuoi fratelli. Perché non li scegli, te li ritrovi come sono, magari tante volte ti piacciono perché ti assomigliano, ma per questioni genetiche. Possono esserci altre persone con cui ti senti più in contatto...»
«Mi vengono in mente i kibbutz israeliani della fondazione, anzi palestinesi, perché Israele non esisteva ancora. I bambini erano "figli del Kibbutz", se ne occupava chi se ne poteva occupare, una cosa meravigliosa; se fosse attuabile significherebbe la de-costruzione della famiglia mononucleare, che sta alla radice del nazionalismo e di tanti altri concetti negativi.»
Un sound di grande intensità, che copre tutte le frequenze dello spettro sonoro: da quelle gravi di basso, cassa e tappeti di tastiere alte più acute, coperte da certi "suonini" campionati e sapientemente "panpottati" e dai vocalizzi della cantante mongola siberiana Sahinko Namchilak. Oltre alla sua altre interessanti collaborazioni...
«Dre Love - che già aveva partecipato a Lingo -, Ash, un nostro amico che frequentava lo studio di Stefano (D.Rad, il quarto dei 4/4 di Almamegretta) qua a Roma; suona il basso e farà anche la tournée con noi. Poi Count Dubulah che ha suonato nel disco e nella tournée di Lingo e compare in alcune tracce di 4/4 alla chitarra e al basso... In due pezzi ha suonato Mauro Pagani... Il disco è stato registrato nello studio di Mauro che per noi è stato un.. papà, una persona eccezionale...»
«Noi siamo andati lì non a caso: uno studio modernissimo, che ti mette a disposizione Pro Tools ma anche una serie di strumenti d'epoca, amplificatori anni '70, tastiere analogiche, strumenti etnici... Abbiamo scelto proprio quel posto e ci siamo trovati benissimo, anche per merito di Mauro; figurati che lui, che già aveva problemi di budget con la BMG, di fronte alla necessità di una settimana in più di studio che avrebbe comportato sicuramente una serie di litigi e di problemi, avendo lo studio libero per una settimana - appunto - ce l'ha "donato"... In perfetto stile "progressive"! Ha detto: "Lo so che faccio un regalo alla BMG, ma fondamentalmente lo faccio a voi, quindi..."»
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005