Album: 4/4
Data: ottobre 1999
Giornale: Rockerilla
di John Vignola
Sciamanico, avvolgente, raffinato, qualcosa che mescola l'onirico ad una collezione di riferimenti pop inattesi (su tutti, l'organo retroattivo e le linee melodiche soul-beat di "Sempre"), con una tale inventiva ed una voglia di non assuefarsi a nulla da lasciare senza fiato.
Il nuovo passo discografico degli Almamegretta è in "4/4": in qualche modo, oltre che un'annotazione musicale, una specie di dichiarazione di completezza stilistica ed artistica - che si riferisce pure ai componenti del gruppo ed agli album fin qui pubblicati - a nostro avviso perfettamente compiuta. Qui le incursioni ritmiche sono avvinte alla tecnologia, a qualche partecipazione speciale - la cantante siberiana Sahinko Namtchylak, a dare forma allo spettrale blues omonimo, il rapper Dre Love -, che assimilano riferimenti bianchi e neri, dal reggae alla house (le ossessioni pure un po"7O di "Riboulez Le Kick"), dal trip hop al funk, su linee inedite e sinuose.
Questa volta lo spostamento stilistico ha quindi il suono del pop, della canzone, vista come trip in reami evocativi e tribali, oppure in una incarnazione che può concedersi mille suggestioni chiaroscurali. Musica maggiormente lineare, ma solcata da una inquietudine, diciamo così, generazionale, quella che si insinua tra le pieghe reggate di "Cheap Guru", condivise con una neniapornmobile.online orientale, su un continuo perché ripetuto in altre lingue... Poi, c'è tutta la capacità poco provinciale di innescare soluzioni futuribili in uno scenario molto attento a come propagare i suoni, al dettaglio, stavolta maggiormente stilizzato e più compatto che in passato. Attraverso la gestione diretta della produzione del disco, Raiss e compagni sono riusciti ad offrire un proprio tratto distintivo, ancorato al senso della melodia del Mediterraneo ed aperto a tutto quello che si può contaminare in un moderno interesse folclorico ben amalgamato.
Molti incipit ("Figli Di Dio", ad esempio), paiono sospendere le meccaniche sonore, intriderle in qualche modo della salsedine che dal porto di Napoli avrà colpito tante volte i Nostri, che genera la languida malinconia di "Venus". Inutile catalogare le molte sfaccettature di questo lavoro: la parole chiave è forse profondità, quella che si intravede nel peso dei brani, nelle liriche, nell'accurato evitare passaggi facili e nella costruzione di un suono spesso avvolgente, caldo e movimentato senza essere nevrotico, quasi fosse una sorta di viaggio autocognitivo. Con le parole di "Ore Minuti Secondi", una delle canzoni di punta dell'album, si mette in evidenza il ripiegamento su se stessi di chi è definitivamente entrato nell'età adulta, dopo anni di lotte e passioni, e non ci si trova granché bene.
Piccoli straniamenti per tracciare un quadro dipinto anche con sommessità e senza voglia di tirare fuori inutili slogan; del resto, "Alta Fedelta" appare come un omaggio neanche tanto criptato all'omonimo libro di Hornby, quello che ha messo in riga e forse blandito all'eccesso un buon numero di trentenni d'Occidente.
Un giroscopio, quindi; se poi il tutto costruisce delle forme in movimento, a volte cantabili e attrattive, tanto meglio: il gruppo non deve, e qui lo dimostra particolarmente, grandi favori a nessuno se non alla sua musica.
Dopo "Lingo" era davvero difficile provare ad oltrepassare la propria estetica : nell'asciutto cammino di "4/4" gli Alma dimostrano non solo di averlo fatto, ma di avere ipotecato anche un ruolo importante per le alchimie migliori che dal nostro piccolo paese si affacciano verso un nuovo millennio per nulla rassicurante.
Aggiornato Sabato, 30 Luglio 2005
Data: ottobre 1999
Giornale: Rockerilla
di John Vignola
Sciamanico, avvolgente, raffinato, qualcosa che mescola l'onirico ad una collezione di riferimenti pop inattesi (su tutti, l'organo retroattivo e le linee melodiche soul-beat di "Sempre"), con una tale inventiva ed una voglia di non assuefarsi a nulla da lasciare senza fiato.
Il nuovo passo discografico degli Almamegretta è in "4/4": in qualche modo, oltre che un'annotazione musicale, una specie di dichiarazione di completezza stilistica ed artistica - che si riferisce pure ai componenti del gruppo ed agli album fin qui pubblicati - a nostro avviso perfettamente compiuta. Qui le incursioni ritmiche sono avvinte alla tecnologia, a qualche partecipazione speciale - la cantante siberiana Sahinko Namtchylak, a dare forma allo spettrale blues omonimo, il rapper Dre Love -, che assimilano riferimenti bianchi e neri, dal reggae alla house (le ossessioni pure un po"7O di "Riboulez Le Kick"), dal trip hop al funk, su linee inedite e sinuose.
Questa volta lo spostamento stilistico ha quindi il suono del pop, della canzone, vista come trip in reami evocativi e tribali, oppure in una incarnazione che può concedersi mille suggestioni chiaroscurali. Musica maggiormente lineare, ma solcata da una inquietudine, diciamo così, generazionale, quella che si insinua tra le pieghe reggate di "Cheap Guru", condivise con una neniapornmobile.online orientale, su un continuo perché ripetuto in altre lingue... Poi, c'è tutta la capacità poco provinciale di innescare soluzioni futuribili in uno scenario molto attento a come propagare i suoni, al dettaglio, stavolta maggiormente stilizzato e più compatto che in passato. Attraverso la gestione diretta della produzione del disco, Raiss e compagni sono riusciti ad offrire un proprio tratto distintivo, ancorato al senso della melodia del Mediterraneo ed aperto a tutto quello che si può contaminare in un moderno interesse folclorico ben amalgamato.
Molti incipit ("Figli Di Dio", ad esempio), paiono sospendere le meccaniche sonore, intriderle in qualche modo della salsedine che dal porto di Napoli avrà colpito tante volte i Nostri, che genera la languida malinconia di "Venus". Inutile catalogare le molte sfaccettature di questo lavoro: la parole chiave è forse profondità, quella che si intravede nel peso dei brani, nelle liriche, nell'accurato evitare passaggi facili e nella costruzione di un suono spesso avvolgente, caldo e movimentato senza essere nevrotico, quasi fosse una sorta di viaggio autocognitivo. Con le parole di "Ore Minuti Secondi", una delle canzoni di punta dell'album, si mette in evidenza il ripiegamento su se stessi di chi è definitivamente entrato nell'età adulta, dopo anni di lotte e passioni, e non ci si trova granché bene.
Piccoli straniamenti per tracciare un quadro dipinto anche con sommessità e senza voglia di tirare fuori inutili slogan; del resto, "Alta Fedelta" appare come un omaggio neanche tanto criptato all'omonimo libro di Hornby, quello che ha messo in riga e forse blandito all'eccesso un buon numero di trentenni d'Occidente.
Un giroscopio, quindi; se poi il tutto costruisce delle forme in movimento, a volte cantabili e attrattive, tanto meglio: il gruppo non deve, e qui lo dimostra particolarmente, grandi favori a nessuno se non alla sua musica.
Dopo "Lingo" era davvero difficile provare ad oltrepassare la propria estetica : nell'asciutto cammino di "4/4" gli Alma dimostrano non solo di averlo fatto, ma di avere ipotecato anche un ruolo importante per le alchimie migliori che dal nostro piccolo paese si affacciano verso un nuovo millennio per nulla rassicurante.
Aggiornato Sabato, 30 Luglio 2005