Data: 7 ottobre 1999
Giornale: Corriere del Mezzogiorno
Dal soul alla musica dub, la band spazia in più generi. «Non ci sentiamo depositari della tradizione partenopea»
Esce domani il nuovo album 4/4.
di Pasquale Elia
Dai «Figli di Annibale» ai «Figli di Dio». Dai suoni squisitamente underground al gusto per un «pop europeo». Ma l'orma resta sempre quella degli Almamegretta, che da domani ritornano sul mercato con un nuovo disco. È il quarto album della loro carriera, la band è composta da quattro elementi e in più c'era la voglia di giocare con il tempo base di tutta la musica ballabile: dal rock al reggae. Ed ecco perché lultimo cd l'hanno voluto intitolare «4/4», che vuole anche essere l'espressione dell’unità del gruppo napoletano. «In una band è sempre difficile mantenere un equilibrio, una identità superiore capace di tenere gli “ego” sotto controllo: "4/4" equivale a uno, il concetto si spiega da sé, anche da questa coincidenza aritmetica», spiega Raiss, voce e leader degli Almamegretta. Che però in questo disco si firma in un altro modo: Raiz.
Per l'anagrafe lei è Rino Della Volpe. Eppure è già la terza volta che cambia nome: prima Raiss, poi Reeno, adesso Raiz. Cosa la spinge a
mischiare 0gni tanto le carte?
«Sono un appassionato di grafica e anche un semplice nome ha un tratto che mi affascina. Esteticamente mi piaceva Raiz e quindi ho deciso di adottarlo, anche perché nella pronuncia sostanzialmente non cambia nulla».
Parliamo del disco, che diversamente da «Lingo» ha una traccia pop più marcata.
«La nostra cultura musicale è fatta soprattutto di sonorità underground, che non contemplano la costruzione dei brani in una "forma canzone" vera e propria. Tuttavia nell'album abbiamo voluto spingerci verso quel pop che a me piace definire europeo. È ovvio che non si tratta di un disco dance, ma di un lavoro che rappresenta bene qual’è il nostro approccio alla musica che porta al movimento. Per essere sintetici, in questopornmobile disco c'è 1/4 di dub, 1/4 di soul, 1/4 di dance e 1/4 di tutto quello che ci si può aspettare dagli Almamegretta».
Ormai siete una band dalla quale il pubblico si aspetta sempre molto: avvertite il peso di questa “responsabilità”? E se sì, questo aspetto condiziona le vostre scelte artistiche?
«Noi sentiamo di avere un "dovere" nei confronti dei nostri fan, ma non è una cosa che interferisce neLle nostre valutazioni musicali. D'altronde non abbiamo avuto paura di pubblicare "Lingo", che è molto diverso dal precedente "Sanacore", e adesso non abbiamo avuto alcun timore ad incidere "4/4", a sua volta diverso da "Lingo". In tutti questi cambiamenti c'è comunque una continuità: il nostro rigore nella costruzione dei brani, nella ricerca quasi maniacale del suono giusto».
Andiamo avanti nelle novità dell'album: il suo nome, le sonorità, ma anche la lingua. In «4/4» ci sono più pezzi in italiano che in tutta la vostra carriera: come mai questa sterzata?
«È vero, fino ad oggi nella nostra produzione si contavano solo due canzoni non in vernacolo. E a questo punto è importante fare una premessa: siamo felici di essere napoletani, ma finisce tutto qui. Il campanilismo non fa per noi, anche perché il confronto con gli altri è necessario. Gli Almamegretta non si sentono affatto depositari della tradizione musicale napoletana. Usiamo il nostro dialetto perché è più duttile dell'italiano, e quindi creare una melodia mediterranea con il napoletano è più facile. Diventa difficile quando si usano altre lingue, e laddove ci si riesce significa dare un ulteriore senso di universalità alla musica. A noi piace pensare che sia stato solo un caso riuscire in questo intento "sfruttando" il dialetto napoletano. Che tra l'altro, secondo noi, va usato in senso apolide». «Figli di Annibale» è stato il vostro mini cd d'esordio. E ora, in «4/4», spunta il brano «Figli di Dio»: c'è qualche legame tra le due composizioni?
«Assolutamente no. Anzi, di questa somiglianza tra i titoli, me ne sono accorto solo in questi giorni. "Figli di Dio" è una tipica espressione napoletana usata quando si vuole esprimere compassione per una persona che è in pericolo. La canzone, infatti, racconta di una vittima della guerra che innocentemente si chiede: "Voglio sape' pecché, ca si respiro pure io comme tutti 'e figli 'e Ddio, che male faccio si voglio campa’"».
Aggiornato Giovedì, 08 Settembre 2005
Giornale: Corriere del Mezzogiorno
Dal soul alla musica dub, la band spazia in più generi. «Non ci sentiamo depositari della tradizione partenopea»
Esce domani il nuovo album 4/4.
di Pasquale Elia
Dai «Figli di Annibale» ai «Figli di Dio». Dai suoni squisitamente underground al gusto per un «pop europeo». Ma l'orma resta sempre quella degli Almamegretta, che da domani ritornano sul mercato con un nuovo disco. È il quarto album della loro carriera, la band è composta da quattro elementi e in più c'era la voglia di giocare con il tempo base di tutta la musica ballabile: dal rock al reggae. Ed ecco perché lultimo cd l'hanno voluto intitolare «4/4», che vuole anche essere l'espressione dell’unità del gruppo napoletano. «In una band è sempre difficile mantenere un equilibrio, una identità superiore capace di tenere gli “ego” sotto controllo: "4/4" equivale a uno, il concetto si spiega da sé, anche da questa coincidenza aritmetica», spiega Raiss, voce e leader degli Almamegretta. Che però in questo disco si firma in un altro modo: Raiz.
Per l'anagrafe lei è Rino Della Volpe. Eppure è già la terza volta che cambia nome: prima Raiss, poi Reeno, adesso Raiz. Cosa la spinge a
mischiare 0gni tanto le carte?
«Sono un appassionato di grafica e anche un semplice nome ha un tratto che mi affascina. Esteticamente mi piaceva Raiz e quindi ho deciso di adottarlo, anche perché nella pronuncia sostanzialmente non cambia nulla».
Parliamo del disco, che diversamente da «Lingo» ha una traccia pop più marcata.
«La nostra cultura musicale è fatta soprattutto di sonorità underground, che non contemplano la costruzione dei brani in una "forma canzone" vera e propria. Tuttavia nell'album abbiamo voluto spingerci verso quel pop che a me piace definire europeo. È ovvio che non si tratta di un disco dance, ma di un lavoro che rappresenta bene qual’è il nostro approccio alla musica che porta al movimento. Per essere sintetici, in questopornmobile disco c'è 1/4 di dub, 1/4 di soul, 1/4 di dance e 1/4 di tutto quello che ci si può aspettare dagli Almamegretta».
Ormai siete una band dalla quale il pubblico si aspetta sempre molto: avvertite il peso di questa “responsabilità”? E se sì, questo aspetto condiziona le vostre scelte artistiche?
«Noi sentiamo di avere un "dovere" nei confronti dei nostri fan, ma non è una cosa che interferisce neLle nostre valutazioni musicali. D'altronde non abbiamo avuto paura di pubblicare "Lingo", che è molto diverso dal precedente "Sanacore", e adesso non abbiamo avuto alcun timore ad incidere "4/4", a sua volta diverso da "Lingo". In tutti questi cambiamenti c'è comunque una continuità: il nostro rigore nella costruzione dei brani, nella ricerca quasi maniacale del suono giusto».
Andiamo avanti nelle novità dell'album: il suo nome, le sonorità, ma anche la lingua. In «4/4» ci sono più pezzi in italiano che in tutta la vostra carriera: come mai questa sterzata?
«È vero, fino ad oggi nella nostra produzione si contavano solo due canzoni non in vernacolo. E a questo punto è importante fare una premessa: siamo felici di essere napoletani, ma finisce tutto qui. Il campanilismo non fa per noi, anche perché il confronto con gli altri è necessario. Gli Almamegretta non si sentono affatto depositari della tradizione musicale napoletana. Usiamo il nostro dialetto perché è più duttile dell'italiano, e quindi creare una melodia mediterranea con il napoletano è più facile. Diventa difficile quando si usano altre lingue, e laddove ci si riesce significa dare un ulteriore senso di universalità alla musica. A noi piace pensare che sia stato solo un caso riuscire in questo intento "sfruttando" il dialetto napoletano. Che tra l'altro, secondo noi, va usato in senso apolide». «Figli di Annibale» è stato il vostro mini cd d'esordio. E ora, in «4/4», spunta il brano «Figli di Dio»: c'è qualche legame tra le due composizioni?
«Assolutamente no. Anzi, di questa somiglianza tra i titoli, me ne sono accorto solo in questi giorni. "Figli di Dio" è una tipica espressione napoletana usata quando si vuole esprimere compassione per una persona che è in pericolo. La canzone, infatti, racconta di una vittima della guerra che innocentemente si chiede: "Voglio sape' pecché, ca si respiro pure io comme tutti 'e figli 'e Ddio, che male faccio si voglio campa’"».
Aggiornato Giovedì, 08 Settembre 2005