Data: 2001
Giornale: Mucchio Selvaggio
di Federico Guglielmi
Caso raro per quanto riguarda la scena italiana, gli Almamegretta sanno mettere in soggezione: in parte per il loro approccio globalmente austero (che, sia chiaro, non sottintende però distacco), e soprattutto per la loro straordinaria bravura, Raiz e compagni sono da molti percepiti come un'entità musicale superiore, che guarda dall'alto questo triste mercato ufficiale dominato dalla legge delle tre "M" (Mistificazioni, Miserie e Marchette). Un'entità che non dimentica di essere nata nella strada e che perciò evita di porsi su un piedistallo, preferendo ad un'autocompiacente staticità il dinamismo di un'illuminata esplorazione del vasto territorio sottostante alla ricerca di sempre nuovi stimoli.
Pur avendo ormai da tempo elaborato un stile riconoscibile, e "definito" almeno nelle sue coordinate essenziali, la band napoletana non ha dunque smesso di azzardare ulteriori alchimie, avvalendosi di un'ispirazione la cui misura è data anche dal fatto che Lingo, 4/4 e Imaginaria sono stati partoriti in soli tre anni e mezzo. Un fervore creativo messo al servizio di un'idea globale di suono che prevede ibridazioni ardite ma fluide tra fantasie esotiche (orientali così come africane) e radici mediterranee, tra l'energia calda del rock e la (relativa) glacialità dell'elettronica, tra freschezza pop e ritmi filo-dance, tra l'eco spontaneo della memoria ancestrale e quello indotto del dub; e ampliato, in quest'ultima prova, a imprevedibili influssi anni '70 che si avvertono nell'uso di vecchi synth analogici e in particolare in un brano (Crazy Days & Crazy Nights) che fa pensare a una sorta di versione futuribile dei Genesis di Peter Gabriel. Al di là delle aperture stilistiche e di quanto via via approfondito nei singoli episodi, Imaginaria rimane un classico album degli Almamegretta, figlio della curiosità a 360% e di un profondo rispetto della musica in quanto veicolo di forti sensazioni e strumento di elevazione culturale in senso lato: settantuno minuti di suggestioni intensissime, da vivere a livello fisico (grazie al groove), cerebrale (gustandone gli squisiti, infiniti dettagli di arrangiamento), emotivo (impossibile non commuoversi all'ascolto, ad esempio, di pezzi come Catene o Fa' ammure cu' mme) e persino spirituale, anche grazie ai toni spesso da mantra del canto poliglotta di Raiz.
Gran disco, Imaginaria, di quelli che guardano e fanno guardare lontano. E che alimentano forti dubbi sul fatto che la famigerata utopia di una musica totale sia davvero un'irragiungibile chimera.
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005
Giornale: Mucchio Selvaggio
di Federico Guglielmi
Caso raro per quanto riguarda la scena italiana, gli Almamegretta sanno mettere in soggezione: in parte per il loro approccio globalmente austero (che, sia chiaro, non sottintende però distacco), e soprattutto per la loro straordinaria bravura, Raiz e compagni sono da molti percepiti come un'entità musicale superiore, che guarda dall'alto questo triste mercato ufficiale dominato dalla legge delle tre "M" (Mistificazioni, Miserie e Marchette). Un'entità che non dimentica di essere nata nella strada e che perciò evita di porsi su un piedistallo, preferendo ad un'autocompiacente staticità il dinamismo di un'illuminata esplorazione del vasto territorio sottostante alla ricerca di sempre nuovi stimoli.
Pur avendo ormai da tempo elaborato un stile riconoscibile, e "definito" almeno nelle sue coordinate essenziali, la band napoletana non ha dunque smesso di azzardare ulteriori alchimie, avvalendosi di un'ispirazione la cui misura è data anche dal fatto che Lingo, 4/4 e Imaginaria sono stati partoriti in soli tre anni e mezzo. Un fervore creativo messo al servizio di un'idea globale di suono che prevede ibridazioni ardite ma fluide tra fantasie esotiche (orientali così come africane) e radici mediterranee, tra l'energia calda del rock e la (relativa) glacialità dell'elettronica, tra freschezza pop e ritmi filo-dance, tra l'eco spontaneo della memoria ancestrale e quello indotto del dub; e ampliato, in quest'ultima prova, a imprevedibili influssi anni '70 che si avvertono nell'uso di vecchi synth analogici e in particolare in un brano (Crazy Days & Crazy Nights) che fa pensare a una sorta di versione futuribile dei Genesis di Peter Gabriel. Al di là delle aperture stilistiche e di quanto via via approfondito nei singoli episodi, Imaginaria rimane un classico album degli Almamegretta, figlio della curiosità a 360% e di un profondo rispetto della musica in quanto veicolo di forti sensazioni e strumento di elevazione culturale in senso lato: settantuno minuti di suggestioni intensissime, da vivere a livello fisico (grazie al groove), cerebrale (gustandone gli squisiti, infiniti dettagli di arrangiamento), emotivo (impossibile non commuoversi all'ascolto, ad esempio, di pezzi come Catene o Fa' ammure cu' mme) e persino spirituale, anche grazie ai toni spesso da mantra del canto poliglotta di Raiz.
Gran disco, Imaginaria, di quelli che guardano e fanno guardare lontano. E che alimentano forti dubbi sul fatto che la famigerata utopia di una musica totale sia davvero un'irragiungibile chimera.
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005