Data: giugno 2001
Giornale: Tutto
di Federico Fiume
Dieci anni di sperimentazione (e tanta gavetta). Oggi il gruppo napoletano rivendica un ruolo-guida nella scena italiana e ritorna con un mix esplosivo di reggae e dub
In questi mesi gli Almamegretta celebrano il decimo compleanno. Un decennio in cui hanno contribuito a trasformare il suono della musica italiana. «Certi suoni e certe idee che oggi usano in tanti», precisa Raiz, «vengono dalle sperimentazioni che noi e altri artisti conducevamo nelle nostre cantine». Una rivendicazione più che giustificata e ben espressa anche nel nuovo album, Imaginaria, che segna un ritorno alle radici del loro sound, fra reggae e dub, con l’aggiunta di una venatura psichedelica perfettamente amalgamata al resto del cd.
Oggi la band incide per una major come la Bmg e vende decine di migliaia di album. All’inizio non era così, e per far decollare il progetto ci è voluta molta determinazione. «Le prime cose», ricorda Raiz, «le incidemmo su un registratore a quattro piste comprato a rate da Gennaro Tesone, il nostro batterista, l’unico ad avere un lavoro fisso. Dopo un po’ ottenemmo un ingaggio al Notting Hill, un locale di Napoli che è stato fondamentale per la crescita di molti artisti. Suonavamo tutti i giovedì e lì dentro abbiamo sperimentato molto, facendo di tutto. Per guadagnare qualche soldo andavamo anche ad attaccare i manifasti per il locale. Quello fu un periodo davvero importantissimo per la nostra formazione».
Poi il contratto discografico con una etichetta indipendente, i concerti in tutta Italia, il primo album, Animamigrante, la possibilità pornmobiledi lavorare con Adrian Sherwood, il “guru” del dub inglese, il successo di Sanacore, le sperimentazioni di Indubb. Quindi il passaggio a una grande casa discografica e il riconoscimentto su scala internazionale con l’ottima versione di Karmacoma dei Massive Attack.
«Abbiamo dovuto affrontare dinamiche che fino a poco tempo prima ci erano asssolutamente aliene, ma siamo comunque riusciti a rimanere sempre noi stessi, anche nei dischi successivi, Lingo e 4/4». La maturità raggiunta e il seguito di pubblico rendono dunque legittima la richiesta di maggior attenzione da parte di media e discografici: «Io vado spesso a Londra e ti assicuro che la scena italiana non ha nulla da invidiare a quella inglese, anzi. La differenza sta nel fatto che in Inghilterra c’è un grande supporto dei media, si cerca continuamente qualcosa di nuovo, di fresco. C’è molta attenzione. Da noi, invece, il nuovo viene visto con diffidenza, come una specie di pericolo per la tradizione. È proprio a causa di questo immobilismo che tante energie e potenzialità vanno perdute o fanno comunque fatica a emergere. Con questo tour, noi e gli altri vogliamo dimostrare che la musica italiana non è soltanto quella di Celentano o Ramazzotti. Il pubblico se ne è accorto da tempo e sarebbe ora che se ne accorgessero anche i programmatori radiofonici, i giornalisti, i discografici».
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005
Giornale: Tutto
di Federico Fiume
Dieci anni di sperimentazione (e tanta gavetta). Oggi il gruppo napoletano rivendica un ruolo-guida nella scena italiana e ritorna con un mix esplosivo di reggae e dub
In questi mesi gli Almamegretta celebrano il decimo compleanno. Un decennio in cui hanno contribuito a trasformare il suono della musica italiana. «Certi suoni e certe idee che oggi usano in tanti», precisa Raiz, «vengono dalle sperimentazioni che noi e altri artisti conducevamo nelle nostre cantine». Una rivendicazione più che giustificata e ben espressa anche nel nuovo album, Imaginaria, che segna un ritorno alle radici del loro sound, fra reggae e dub, con l’aggiunta di una venatura psichedelica perfettamente amalgamata al resto del cd.
Oggi la band incide per una major come la Bmg e vende decine di migliaia di album. All’inizio non era così, e per far decollare il progetto ci è voluta molta determinazione. «Le prime cose», ricorda Raiz, «le incidemmo su un registratore a quattro piste comprato a rate da Gennaro Tesone, il nostro batterista, l’unico ad avere un lavoro fisso. Dopo un po’ ottenemmo un ingaggio al Notting Hill, un locale di Napoli che è stato fondamentale per la crescita di molti artisti. Suonavamo tutti i giovedì e lì dentro abbiamo sperimentato molto, facendo di tutto. Per guadagnare qualche soldo andavamo anche ad attaccare i manifasti per il locale. Quello fu un periodo davvero importantissimo per la nostra formazione».
Poi il contratto discografico con una etichetta indipendente, i concerti in tutta Italia, il primo album, Animamigrante, la possibilità pornmobiledi lavorare con Adrian Sherwood, il “guru” del dub inglese, il successo di Sanacore, le sperimentazioni di Indubb. Quindi il passaggio a una grande casa discografica e il riconoscimentto su scala internazionale con l’ottima versione di Karmacoma dei Massive Attack.
«Abbiamo dovuto affrontare dinamiche che fino a poco tempo prima ci erano asssolutamente aliene, ma siamo comunque riusciti a rimanere sempre noi stessi, anche nei dischi successivi, Lingo e 4/4». La maturità raggiunta e il seguito di pubblico rendono dunque legittima la richiesta di maggior attenzione da parte di media e discografici: «Io vado spesso a Londra e ti assicuro che la scena italiana non ha nulla da invidiare a quella inglese, anzi. La differenza sta nel fatto che in Inghilterra c’è un grande supporto dei media, si cerca continuamente qualcosa di nuovo, di fresco. C’è molta attenzione. Da noi, invece, il nuovo viene visto con diffidenza, come una specie di pericolo per la tradizione. È proprio a causa di questo immobilismo che tante energie e potenzialità vanno perdute o fanno comunque fatica a emergere. Con questo tour, noi e gli altri vogliamo dimostrare che la musica italiana non è soltanto quella di Celentano o Ramazzotti. Il pubblico se ne è accorto da tempo e sarebbe ora che se ne accorgessero anche i programmatori radiofonici, i giornalisti, i discografici».
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005