Data: 14 giugno 2001
Giornale: Musica
di Andrea Silenzi
Con il nuovo album "Imaginaria" Raiz e compagni rivendicano con orgoglio lo status di musicisti globali
Essere un gruppo italiano senza esserlo. Per gli Almamegretta, una simile condizione è un privilegio, ma al tempo stesso anche un limite. Con il suo nuovo album Imaginaria, da pochi giorni nei negozi, la band di Raiz conferma la sua capacità di interpretare lo spirito dei tempi scavalcando le gabbie dei generi e abbracciando, una volta di più, l'utopia della “musica globale”. «Abbiamo cercato di realizzare un disco in totale libertà» racconta Raiz, cantante e leader del gruppo napoletano «il nostro intento era quello di mettere insieme le musiche che ascoltiamo e di cui subiamo maggiormente l'influenza. Cerchiamo sempre di prendere quel tipo di melodia (araba, indiana) e di legarci insieme dei testi in napoletano. Il progetto degli Alma è sempre lo stesso: sovrapporre la musica mediterranea ai suoni di più stretta attualità. Complessivamente, Imaginaria è un lavoro più istintivo dei precedenti. Rispetto al precedente 4/4 è decisamente più sperimentale. L'attitudine multiculturale della band partenopea è la stessa che anima i dischi di artisti di fama mondiale come gli Asian Dub Foundation, Bill Laswell, i Letfield o i Massive Attack. Tutti musicisti che hanno lavorato con gli Almamegretta e che nutrono nei loro confronti una stima e un rispetto profondi. Che cos'è allora che impedisce agli Alma di raccogliere il meritato successo anche all'estero? «Il problema è sempre lo stesso: il fatto di essere italiani senza esserlo. Qui da noi, i nostri dischi non vanno ai primi posti e quindi i nostri discografici non spingono per lanciarli anche nei paesi stranieri. Il nostro stile non è in lineapornmobile con l'immaginario collettivo che riguarda la musica italiana all'estero. Bocelli è perfetto perché canta la lirica. Noi possiamo andare bene per l'underground. In quel circuito siamo molto conosciuti, ma poi nessuno ci aiuta concretamente».
La vera, grande novità di Imaginaria è la presenza di strumenti come il Moog e l'Arp Odissey, che hanno profondamente segnato la stagione del progressive degli anni Settanta: «Il fatto è che abbiamo registrato il disco nello studio di Mauro Pagani. Lì dentro c'è tutto il patrimonio strumentistico degli anni Settanta. Ma la verità è che quella musica (penso ai Pink Floyd, ai Genesis, ai Led Zeppelin) fa parte del nostro dna. Le radici della nostra formazione musicale sono lì. Alla fine abbiamo scoperto che dub e psichedelia posso mischiarsi. E dopo un po', Pagani ci chiamava Almagamma.
Il cosmopolitismo continua a essere la condizione esistenziale di una band che, pur senza rinnegare le proprie radici, non ha fatto del senso di appartenenza la propria bandiera: «La napoletanità si conserva, è una concezione dello spirito. È una città a cui si appartiene per sempre, anche se poi, come me, decidi di non volerci vivere. Mi sono reso conto che certi neo-melodici smuovono una parte di me che resta profondamente legata alle sue origini, all'idea del quartiere. Io sono nato nello stesso quartiere di D'Alessio, e riesco perfettamente a capire il senso di certe sue canzoni. È un fatto sentimentale. Ovvio che poi la nostra direzione artistica è totalmente diversa. La napoletanità è saper partire da Napoli e fare il giro del mondo avendo comunque qualcosa da dire e da imparare».
Le voci di scioglimento circolate nei mesi scorsi sembrano non avere fondamento: «Il nostro è sempre stato un progetto molto aperto. Ognuno di noi ha degli interessi specifici, e comunque l'idea della band chiusa rigidamente nel proprio universo è ormai superata. Qualcosa può succedere, ma tra noi c'è sempre molta armonia».
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005
Giornale: Musica
di Andrea Silenzi
Con il nuovo album "Imaginaria" Raiz e compagni rivendicano con orgoglio lo status di musicisti globali
Essere un gruppo italiano senza esserlo. Per gli Almamegretta, una simile condizione è un privilegio, ma al tempo stesso anche un limite. Con il suo nuovo album Imaginaria, da pochi giorni nei negozi, la band di Raiz conferma la sua capacità di interpretare lo spirito dei tempi scavalcando le gabbie dei generi e abbracciando, una volta di più, l'utopia della “musica globale”. «Abbiamo cercato di realizzare un disco in totale libertà» racconta Raiz, cantante e leader del gruppo napoletano «il nostro intento era quello di mettere insieme le musiche che ascoltiamo e di cui subiamo maggiormente l'influenza. Cerchiamo sempre di prendere quel tipo di melodia (araba, indiana) e di legarci insieme dei testi in napoletano. Il progetto degli Alma è sempre lo stesso: sovrapporre la musica mediterranea ai suoni di più stretta attualità. Complessivamente, Imaginaria è un lavoro più istintivo dei precedenti. Rispetto al precedente 4/4 è decisamente più sperimentale. L'attitudine multiculturale della band partenopea è la stessa che anima i dischi di artisti di fama mondiale come gli Asian Dub Foundation, Bill Laswell, i Letfield o i Massive Attack. Tutti musicisti che hanno lavorato con gli Almamegretta e che nutrono nei loro confronti una stima e un rispetto profondi. Che cos'è allora che impedisce agli Alma di raccogliere il meritato successo anche all'estero? «Il problema è sempre lo stesso: il fatto di essere italiani senza esserlo. Qui da noi, i nostri dischi non vanno ai primi posti e quindi i nostri discografici non spingono per lanciarli anche nei paesi stranieri. Il nostro stile non è in lineapornmobile con l'immaginario collettivo che riguarda la musica italiana all'estero. Bocelli è perfetto perché canta la lirica. Noi possiamo andare bene per l'underground. In quel circuito siamo molto conosciuti, ma poi nessuno ci aiuta concretamente».
La vera, grande novità di Imaginaria è la presenza di strumenti come il Moog e l'Arp Odissey, che hanno profondamente segnato la stagione del progressive degli anni Settanta: «Il fatto è che abbiamo registrato il disco nello studio di Mauro Pagani. Lì dentro c'è tutto il patrimonio strumentistico degli anni Settanta. Ma la verità è che quella musica (penso ai Pink Floyd, ai Genesis, ai Led Zeppelin) fa parte del nostro dna. Le radici della nostra formazione musicale sono lì. Alla fine abbiamo scoperto che dub e psichedelia posso mischiarsi. E dopo un po', Pagani ci chiamava Almagamma.
Il cosmopolitismo continua a essere la condizione esistenziale di una band che, pur senza rinnegare le proprie radici, non ha fatto del senso di appartenenza la propria bandiera: «La napoletanità si conserva, è una concezione dello spirito. È una città a cui si appartiene per sempre, anche se poi, come me, decidi di non volerci vivere. Mi sono reso conto che certi neo-melodici smuovono una parte di me che resta profondamente legata alle sue origini, all'idea del quartiere. Io sono nato nello stesso quartiere di D'Alessio, e riesco perfettamente a capire il senso di certe sue canzoni. È un fatto sentimentale. Ovvio che poi la nostra direzione artistica è totalmente diversa. La napoletanità è saper partire da Napoli e fare il giro del mondo avendo comunque qualcosa da dire e da imparare».
Le voci di scioglimento circolate nei mesi scorsi sembrano non avere fondamento: «Il nostro è sempre stato un progetto molto aperto. Ognuno di noi ha degli interessi specifici, e comunque l'idea della band chiusa rigidamente nel proprio universo è ormai superata. Qualcosa può succedere, ma tra noi c'è sempre molta armonia».
Aggiornato Sabato, 10 Settembre 2005