Raiz vs Almamegretta
RAIZ: Gennaro, che numero di cd è questo degli Almamegretta?
GENNARO: «Boh…. Il decimo, credo, forse l’undicesimo».
Come state?
G: «Il disco parla da solo: si fa ascoltare e dimostra che lo stato di salute degli Almamegretta è ottimo, anche se ci portiamo addosso un sacco di cicatrici. Ma nella vita gli imprevisti devi metterli in conto: solo che bisogna saperli trasformare in qualcosa di positivo. Il cd poi dimostra una volta di più che siamo da sempre un laboratorio. Direi che non siamo mai riusciti a spiegarlo così bene».
Forse perché prima i tempi non erano abbastanza maturi?
G: «È possibile. Vulgus è stata un’operazione rischiosa, a partire dalla scelta di metterci dentro nove cantanti diversi, da Horace Andy a Lucariello passando per una vecchia conoscenza, Julie Higgins. Si poteva creare l’effetto compilation, ma ci piace mettere elementi tanto diversi nei dischi».
Ascoltando Vulgus ci ho sentito dentro tanto reggae e dub, e l’ho avvertito come un sound molto familiare.
PAOLO: «Abbiamo cercato il suono più naturale per noi. Ma non significa aver fatto meno ricerca, solamente aver voluto un cd molto diretto». G: «La cosa curiosa è che la base di Vulgus, la canzone che dà il titolo all’album, l’ha fatta Lucariello: quindi il brano con il sound “più Almamegretta” è stato pensato da un elemento che da pochissimo fa parte del collettivo. Del resto la nostra storia è sempre stata abbastanza anomala».
È vero, anch’io quando ero nella band ho sempre avuto la sensazione di far parte di un corpo in continua mutazione. Non siamo mai stati capaci di fare due dischi uguali.
G: «Non amiamo ripeterci. Forse prima era ingenuità giovanile, oggi è demenza senile». (ride)
Ma perché abbiamo sempre avuto questa smania di ricerca?
G: «Prima di tutto è un’attitudine individuale: non siamo mai stati capaci di dare quello che ci si chiedeva. Non siamo mai riusciti a forzarci».
Gli Almamegretta sono stati a un passo dal grande successo. Ma a me personalmente non essere diventato una pop star mi ha fatto bene, mi ha permesso di sperimentare. Ora faccio il mio lavoro senza compromessi. È stato così anche per voi?
G: «Neanche io mi sono mai montato la testa. Ricordo il concerto di presentazione di Lingo a Napoli davanti a un mare di gente… era un periodo in cui riuscivamo a fare contenti tutti. Però è passato: come ho detto, le esperienze ti lasciano cicatrici, ma mica ti fanno morire dissanguato».
Parliamo di Napoli. Quanto è presente la città nell’album?
P: «All’inizio della lavorazione ho subito detto: “Non facciamo un disco in cui Napoli si lamenta di se stessa”. Poi, volenti o nolenti, si è andato a finire lì… La città usciva dalla porta e rientrava della finestra». G: «Se vuoi fare un album che non parli di Napoli devi andare lontano. E non è detto che ci riesci».
Anche nel brano in cui canto, Guarda annanz’, ho dato voce a un personaggio che parla e pensa in napoletano, ma in fondo è un personaggio che potrebbe vivere ovunque.
P: «Così come hanno fatto Lucariello e Peppe Lanzetta in Bum Bum».
G: «Collaborare con Peppe è stato quasi inevitabile: noi e lui abbiamo sempre raccontato le stesse cose, solo in due modi differenti».
Nel disco Napoli è un simbolo: non l’avete raccontata come avrebbe fatto un neomelodico, che canta della signora che abita alla palazzina 6, interno 3, di Borgo Sant’Antonio Abate. Con Vulgus si potrebbe stare in una qualsiasi città del Mediterraneo.
G: «Il problema è che Napoli dovrebbe diventare una città mediterranea e insieme europea. Sembrava stesse per riuscirci, ma il profumo di rinnovamento di qualche anno fa è diventato puzza di spazzatura».
Chissà che i nostri nuovi amministratori... No, lasciamo perdere. Mi parlate un po’ della promozione del disco?
G: «Iniziamo col dire che siamo nemici delle radio. E secondo me il motivo è anche geografico. I progetti che nascono a Roma o a Milano hanno un accesso più facile alle radio. Ma se sei di Napoli e proponi un discorso musicale diverso da quello di artisti più canonici alle radio proprio non ci arrivi».
P: «Ormai si sa che gli Almamegretta non rientrano negli standard radiofonici. Possiamo anche portargli la canzone più pop dell’universo, ma c’è un pregiudizio verso di noi. Quindi la promozione sarà soprattutto live».
A proposito, il 17 luglio saremo a Napoli tutti insieme al Neapolis Festival per aprire lo show dei Massive Attack. Questo appuntamento mi fa dire che sarebbe bello non aprire soltanto i loro spettacoli quando vengono in Italia: secondo me saremmo capaci di suonare con loro anche a Londra.
P: «Hai ragione, lo abbiamo sempre pensato anche noi. Speriamo solo che il live del 17 non sia un’operazione nostalgia. Anche perché sia noi che loro ora proponiamo cose nuove».
G: «No, il revival anni Novanta non lo vuole nessuno. Però sono sicuro che ci divertiremo».