C'è qualcosa di inscalfibile, nella musica degli Almamegretta: qualcosa che arriva da molto lontano e che colpisce, inevitabilmente, al cuore.
Titolari di album importanti, nell'orizzonte del dub mediteranno che coniuga tradizione e ritmi contemporanei, nonostante
cambi di formazione e lutti (Stefano "D.Rad" Facchielli, in un assurdo incidente stradale, quattro anni fa) hanno mantenuto il timone, in una rotta di appartenenza che non ha mai receduto dal suo impegno nella realtà partenopea, piuttosto che sbandierato, perseguito con passione.
cambi di formazione e lutti (Stefano "D.Rad" Facchielli, in un assurdo incidente stradale, quattro anni fa) hanno mantenuto il timone, in una rotta di appartenenza che non ha mai receduto dal suo impegno nella realtà partenopea, piuttosto che sbandierato, perseguito con passione.
Vulgus non è un episodio discografico minore, tutt'altro: rimanda al suono di Bristol ed è intriso di salsedine nostrana:
stringe il cuore, quando a cantare è Raiz in Guarda annanz', espande gli orizzonti, quando alla voce arriva Julie Higgins, una vecchia conoscenza dai tempi di Lingo, e si assesta su una canzone sfumata, che accoglie memorie (l'abbacinante E da piccolo fanciullo
cominciai, richiamo del deserto intonato da Piero Brega) e inflessioni world con una naturalezza davvero di pochi.
Popolare e drammatico, questo disco, dove il mondo fa Bum Bum e la ruota gira capovolta. Disossato quanto basta, porta l'ascoltatore in una terra che è anche la sua, in cui la storia si ripete e fatalismo e voglia di reagire si intrecciano.
John Vignola